1/2009 Leggi un articolo

 

Un periodico femminista ancora qui

di Monica Lanfranco

Nel 2009 abbiamo festeggiato i 15 anni di Marea, il trimestrale che dirigo e che condivido con altre donne da un tempo grande, considerato il luogo in cui si stampa, e ciòè un paese dove, tranne la storica testata Noidonne, nessun giornale femminista ha potuto mai accedere a finanziamenti tali da poter pagare, anche poco, chi ci scrive e collabora.
In questi anni di incontri, seminari, convegni internazionali, laboratori nei quali ho potuto raccontare il percorso decisamente controcorrente di Marea ho sempre nominato anche le altre testate femministe con le quali siamo in contatto, e non è per piaggeria che dichiaro qui che, oltre al Paese delle donne è proprio Mezzocielo che sento più vicina come esperienza, e che considero in piccola parte mia, anche se la geografia e la vita non mi hanno permesso di partecipare molto da vicino alla ‘cucina’ del giornale.
Non sono solo, (e sarebbe già abbastanza), i legami, la stima l’affetto e il riconoscimento del valore del lavoro di quante lo compongono ogni volta a farmi sentire fortemente in sintonia con questa sorella femminista isolana.
Nemmeno l’ostinazione di non smettere di uscire ancora in formato cartaceo, che accomuna molto lo stile di Marea con quello di Mezzocielo.
E’, soprattutto, il suo tratto laico: ossia il detenere, sì, un punto di vista sul mondo, sulle pratiche, sulla politica mista e su quella dei movimenti delle donne. Ma il non pensare di avere, sempre, un punto di vista univoco sul tutto: il desiderio di stimolare e affrontare i conflitti, nominarli, sostenere delle ragioni pensando però di non costituire una ‘chiesa’ (o meglio una chiesina) che impartisca benedizioni e maledizioni.
C’è poi un fatto per nulla marginale: sia Mezzocielo che Marea cercano di fare giornalismo, e formazione al giornalismo e alla comunicazione con ottica di genere, anche se fuori dai circuiti e dai modi tradizionali.
Il giornalismo mainstream, in Italia, si distingue per essere un settore governato da poche leggi, dettate per la maggior parte dal potere economico, e questo non lo rende diverso da ciò che accade in altri paesi del mondo. Ma ciò che più mi sgomenta è che la formazione di chi informa sia un argomento inesistente, se scusate il gioco di parole.
Penso che la maggioranza delle mie colleghe e dei miei colleghi siano ignoranti, molto più ignoranti della media degli italiani che pretendono di informare, e in qualche modo, quindi di arricchire culturalmente.
Mi spiego.
Per fare qualunque altro mestiere, intellettuale e non, esistono scuole, università , corsi, e successivamente, moltissime sono le occasioni di verifica e arricchimento del proprio patrimonio. Bene, per la professione giornalistica queste opzioni sono scarse, per non dire nulle. E nemmeno richieste dalla categoria, con la forza e la convinzione che sarebbero necessarie proprio in questo momento, nel quale si parla di un allarmante 47% di giovani tra i 20 e i 25 anni che nonostante frequentino l’università non leggono nemmeno un libro all’anno oltre a quelli obbligatori.
Poche le scuole, pochissimi i corsi dove si insegna a comunicare e a informare: si continua con il mito cinematografico del ’mestiere imparato sul campo’ ovvero nelle redazioni. Una bugia.
E’ vero: nella redazione si imparano alcune importanti modalità tecniche per scrivere, ma quasi mai si apprendono i contenuti di ciò che si scrive. E’ chiedere troppo che chi si occupa di questioni ambientali sappia maneggiare la materia, e non si limiti a passare i comunicati o pubblicare interviste agli esperti?
O aspettarsi che, se si fa un’inchiesta sui maltrattamenti verso le donne, non si ignorino 20 anni di storia politica, di iniziative e di testi scritti grazie all’esperienza sul campo di centinaia di attiviste e teoriche del movimento delle donne? O pretendere che si riducano gli spazi del ’particolare carino di colore’ ( come era vestito il leader dell’opposizione, cosa hanno mangiato al pranzo di lavoro) se si parla di crisi economica, e si fornisca al pubblico una strumentazione concretamente utile, attraverso l’informazione, su che cosa sono il welfare, la globalizzazione o la crisi economica?
So bene che farsi queste domande porta inevitabilmente come corollario a chiedersi se siano le leggi della domanda o quelle dell’offerta a decidere cosa tiri e faccia vendere, e quindi di conseguenza quale livello di preparazione sia necessario per chi opera nel campo dell’informazione.
A chi mi dicesse che i tempi del mestiere giornalistico, specie per quel che riguarda i quotidiani e i servizi informativi della tv , sono sincopati e troppo veloci per consentire approfondimenti accurati mi sento di rispondere, anche rischiando di essere sbrigativa: ” E’ vero, ma sono scuse”.
Oggi sono tali e tanti gli strumenti tecnologici dei quali si può far uso (internet e archivi telematici, tanto per citarne due soltanto) che se davvero si continua il solito, comodo, sicuro pezzo su qualunque argomento scritto senza approfondire mai oltre-ciò-che-si pensa-il pubblico-si aspetti lo si continua a fare perché è la scelta più facile, che spesso è sicura anche presso la proprietà, dato che non mette in gioco alcun commento o informazione difforme dal coro.
Questa colpevole pigrizia vale doppiamente per l’argomento donne. Tante sono le mie simili che hanno, in questi anni, fatto la loro comparsa nelle redazioni, a tutti i livelli. Anche se sono sempre di più gli uomini a ricoprire i posti di comando, sono quasi tutte donne le direttore dei magazine femminili, e molte sono le donne caporedattrici, o inviate.
Ma questo ha cambiato davvero il modo di fare informazione, il suo linguaggio? Io penso che il modo di fare informazione cambia, e in modo considerevole, solo se le donne, a qualunque livello della gerarchia si trovino, adottano regole diverse, sia nei contenuti di ciò che scrivono, o propongono, sia nelle relazioni tra donne e uomini che instaurano. Uno per tutti è il contenuto che attiene al linguaggio. Se le giornaliste, consapevoli di quanto è importante abituare chi legge alle novità e farle diventare norma, introducessero la sessuazione del linguaggio, definendo ogni volta il maschile e il femminile abbandonando il neutro (assessora, ministra, inviata) intanto assolverebbero all’importante funzione di veicolare questo cambiamento. Poca la fatica, buono il risultato.
Quanto alle relazioni tra donne rimane per me importante un concetto che Marina Pivetta, direttora del Foglio del paese delle donne, ha espresso anni fa durante una riunione del Tavolo delle giornaliste. In quell’occasione Marina aveva indicato come uno dei motori più forti per disincentivare la competizione tra donne, specie tra le colleghe più anziane e quelle più giovani, la spartizione della propria ’agendina’, quello strumento ambito, misterioso e ricattatorio che contiene i numeri (riservatissimi?) attraverso i quali si accede alle persone che contano, e che quindi garantirebbero il filo diretto per fare lo scoop, o comunque assicurarsi di essere la prima a sapere le notizie.
Marina sosteneva che sul divide et impera il patriarcato ha costruito la spaccatura nel mondo femminile, e quello sul lavoro è senza dubbio il conflitto più doloroso e mortale che possa scatenarsi tra due donne in lizza per un posto o un avanzamento di carriera. Ma se si provasse a sgombrare il campo dalla competizione, e se quell’agendina fosse invece a disposizione di tutte, per favorire la collaborazione al fine di incentivare e migliorare la qualità di ogni singolo pezzo in ogni singolo comparto del giornale?
Passando a parlare dei contenuti un’altra domanda: quante giornaliste italiane che lavorano nella stampa mista sono a conoscenza che in Italia esistono alcune testate autogestite fatte da donne, in parte giornaliste e in parte no, e decine di siti femministi e perfino una radioweb femminista, radiodelledonne.org ?
Quante di loro attingono a questo patrimonio come ad una fonte privilegiata, in pari dignità con altre alle quali si rivolgono di solito?
Non è forse venuto il momento di cominciare, da parte delle testate delle donne, di farsi fonte, ovvero di porsi all’attenzione anche degli stessi organi direttivi della categoria professionale, e verso quelli politici definendo proposte e programmi di formazione tematiche sul patrimonio del movimento delle donne?
Se riteniamo di essere una fonte autorevole allora è il caso di dirlo a gran voce, diventando pienamente titolari presso gli altri enti di formazione per fare cultura e informazione di genere. Perche’ il grande mondo delle parole e dei segni delle donne arrivi sempre più, e al maggior numero di donne e uomini possibile. Buon compleanno Mezzocielo, buon compleanno a tutte noi.

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