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Vivere senza soldi

di Federica Tourn

In principio c’era la natura, l’armonia e la libertà: tutti possedevano soltanto quello che potevano consumare e nessuno era sfruttato. Poi è arrivato il denaro ed è stata la fine del paradiso terrestre, con la scoperta della schiavitù, della guerra, delle disuguaglianza. I soldi come origine di ogni male. L’idea non è nuova e suona più o meno così: il denaro è nato come mezzo di scambio, ma da strumento si è trasformato in fine, in oggetto di desiderio in sé, sinonimo di potere. Marxismo in salsa postmoderna, naturismo vegano con look da senzatetto, ecologismo da sopravvivenza in tempi di crisi, o necessaria (e urgente) riconversione alla semplicità e alla morigeratezza? “Il denaro e tutto quello che rappresenta è una cancrena per il nostro mondo, la nostra natura. Il denaro è stato inventato per comodità in tempi lontani durante i quali l’asservimento, la sofferenza e gli omicidi erano cose normali. Il denaro ha allontanato l’essere umano dai principi inerenti alla natura stessa, donare e condividere”, si legge nella filosofia di the (R)evolution, in harmony with the hearth (forwardtherevolution.net), un sito dove si raccolgono le esperienze di uomini e donne che, in tutto il mondo, hanno cominciato a vivere senza denaro. Per scelta, s’intende, prima ancora che per necessità. Come fanno? Riciclando, innanzitutto, e poi scambiando beni e servizi con altri, ‘salvando’ cibo buttato e, ovviamente, consumando meno. Cresce infatti il numero di persone che si alimentano degli scarti della società consumista e decidono di rinunciare ai soldi, nella convinzione che viviamo in mezzo a troppi sprechi, e questo rapporto irreale tra ciò che si produce e ciò che si consuma non può che aggravare la crisi e il già precario equilibrio del pianeta. D’altronde, se è vero che quasi la metà dei prodotti scartati dai supermercati in Europa si potrebbero ancora consumare, stiamo parlando di una vera follia di sperpero di risorse, in un mondo sempre più affamato e assetato. Dati Fao dicono che buttiamo un terzo del cibo prodotto nel mondo: tradotto in cifre, significa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno. In particolare, ogni europeo getta via 179 chili di cibo ogni anno. E assieme a questi alimenti vanno sprecate l’energia e l’acqua servite a produrli: nel 2010, in Italia, si calcola che si siano persi in questo modo 12 miliardi di metri cubi di acqua contenuta nei prodotti eliminati.
Proprio partendo da questa constatazione, c’è chi prova a vivere diversamente: Nieves Palmer, 26 anni, con il marito Raphael Fellmer, 28, e la piccola Alma Lucia, di pochi mesi, vivono a Berlino e non hanno letteralmente un euro in tasca – se si eccettuano i 150 euro di sussidio, che coprono la sola assicurazione per la salute della bambina. Entrambi laureati e di origine borghese, quattro volte a settimana vanno a pescare dai container della spazzatura davanti ai grandi supermercati biologici e portano a casa, dicono, molto più del necessario. Vivono nel sottoscala di una villa e pagano l’affitto con piccoli lavoretti; non si sono mai ammalati, non sono denutriti, non sono infelici. Rischiano però di essere arrestati, perché in Germania buttare merce è legale, raccoglierla dai bidoni no, perché si ‘viola la proprietà’. Un chiaro ‘controsenso del sistema’, denunciano loro. “Vivere senza denaro sembra quasi impossibile e invece è facile come un sorriso, il passo più difficile da fare è il primo, il resto verrà da sé: il denaro non crea nulla, tutto è già a disposizione”.
Non si tratta di ‘tornare nelle caverne’, avvertono i gestori di (R)evolution, perché è evidente che non possiamo fare a meno di strade, elettricità, ospedali, scuole: il punto è farsi catturare il meno possibile da questo ‘sistema monetario malato’.
Per la verità, qualcuna che è riuscita a fare totalmente a meno della moneta c’è. Heidemarie Schwermer, a 54 anni, un giorno di maggio del 1996 ha semplicemente detto basta: ha smesso di fare la psicoterapeuta, ha dato via la sua auto e il suo appartamento, ha cancellato l’assicurazione sulla vita e da allora non ha più messo mano al portafogli. Nel ’94 aveva fondato Gib und Nimm (letteralmente ‘Dai e Prendi’), la prima associazione di baratto in Germania ma non le è bastato ed è arrivata ad eliminare del tutto il denaro. Come vive? Si sposta frequentemente, ospite in casa di amici, e scambia di tutto, dal cibo ai servizi, in una parola offre se stessa, curando ‘case e anime che ne hanno bisogno’. La sua libertà di scelta ha subito un contraccolpo? Niente affatto: a sentir lei, sta molto meglio di prima perché, sostiene, il denaro spesso separa gli esseri umani invece che unirli. Dalla sua esperienza è nato un libro, Vivere senza soldi (pubblicato in Italia da Terranova Edizioni), da cui nel 2010 è stato tratto l’omonimo film della regista norvegese Line Halvorsen, torinese d’adozione, con una produzione finanziata dal basso voluta dal produttore Paolo Pallavidino, anche lui di Torino. Se quella di Heidemarie è una scelta radicale, una sorta di lotta contro l’anonimato della nostra società, sono molti e molte anche in Italia ad aver tentato una strada intermedia, come nel caso di Senza Moneta, il mercatino di scambio inventato dall’associazione Manà Manà e poi ‘regalato’ alla città di Torino. Chiunque può farlo: basta andare sul sito (www.senzamoneta.it), scaricare logo e locandina e cominciare. “Il nostro desiderio è essenzialmente quello di diffondere una buona pratica – racconta Daniela Calisi di Manà Manà – mentre spesso queste iniziative nascono da una critica politico-economica, la nostra intenzione è stimolare la partecipazione, spingere le persone a fare delle cose insieme”. Daniela si occupa di letteratura digitale e culture del web, è autrice di una serie di installazioni urbane e performance poetiche: ha inventato lei i Distributori Automatici di Poesia che ancora ogni tanto si vedono nelle strade cittadine. Suo è anche il sito internet Content(o)design: la poesia nell’epoca dei nuovi media.
“Senza Moneta ha avuto un successo inaspettato: abbiamo cominciato ad avere una visione diversa del consumo, a produrre meno scarti, trovarci insieme e condividere, e poi io l’ho visto anche come un intervento artistico sulla città”, dice con un sorriso. Sì, perché quando in piazza ti imbatti in Senza Moneta, vedi uno strano mercato e scopri che non puoi comprare. “Ti viene tolto lo strumento a cui sei abituata quando vuoi avere una cosa e sei costretto a cercarne degli altri – spiega Daniela – ed è in quel momento che scatta la dimensione creativa”. Il denaro in fondo è come le sigarette, innesca un meccanismo automatico che non implica una riflessione ed è molto facile da usare – a patto di averne, ovviamente. “Abolirlo diventa quindi anche un sistema di riattivazione mentale: sei costretto a meditare su come funzionano gli scambi, si apre il confronto con le persone e sai qual è il primo effetto? Che cominci a sorridere, poi inizi un discorso, ti interessi. Anche chi offre comincia a raccontarti di sé, innescando un processo di conoscenza reciproca che con il denaro non si crea, perché i soldi sono fatti apposta per sostituire questi scambi sociali”.
Il bene, in questa dinamica, non è più soltanto una merce ma riacquista un valore, “un’anima”. Si può barattare qualunque cosa: oggetti ma anche servizi, prestazioni artistiche, quindi spettacoli, poesie, inviti a cena, ricette… Ognuna offre ciò che ha o ciò che sa. “È anche un percorso di crescita personale notevole” garantisce Daniela, che adesso è incinta e aspetta per l’inizio dell’estate Orlando, il suo primo bambino.
Le esperienze che ruotano intorno alla risorsa antichissima del baratto sono ovviamente moltissime: addirittura ci sono bed and breakfast che, in determinate settimane dell’anno, offrono accoglienza in cambio di piccoli lavori (www.settimanadelbaratto.it). Si tratta di buone pratiche, quindi, che rimettono al centro la persona e le sue competenze, rafforzando i legami e il dialogo, la cura e l’attenzione reciproca. Tutti valori, questi, a lungo “relegati” in una sfera vista come esclusivamente femminile e che ora paiono sempre più determinanti per la salvaguardia del pianeta e un modello di vita sostenibile. Complicato? Neanche troppo: in fondo, come ha dimostrato Heidemarie, “il denaro non è altro che un simbolo”.

 

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