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Grande è la confusione sotto il cielo

di Monica Lanfranco www.monicalanfranco.it

“Pornografia è ciò che fanno gli altri”. La frase (della quale non ho trovato traccia circa l’origine, ma è dagli anni ’70 che la ricordo) è significativa di una tendenza a rimuovere dalla propria dimensione il problema, in un senso o nell’altro: sia che la si approvi, o la si consideri un non-problema, sia che la si condanni, o, appunto, la si veda solo riflessa nelle azioni altrui, quindi da giudicare ma ritenendosene immuni.

Provo quindi a non rimuovere, e ad organizzare un discorso sull’argomento mettendo insieme alcune suggestioni, lampi di chiarezza (o confusione), generati da stimoli ricevuti.

Prima situazione. Una giovane conoscente mi confidò che, durante la sua una frequentazione erotica con uomini molto più anziani di lei, spesso faceva uso di sex toys, per la maggior parte ‘naturali’ e home maded (per lo più zucchine, protette da profilattico, molto meno costose dei giocattoli d’ordinanza, che hanno prezzi piuttosto alti), e mi raccontava dell’ambivalenza rispetto a quella pratica: richiesta dai suoi compagni la trovava eccitante, ma anche violenta, specialmente perché gli uomini, molto provocati dalla sua disponibilità, rischiavano spesso di farle male.

Seconda situazione. Una matura amica femminista lesbica, quando le riferii di essere rimasta colpita e confusa dalla scena del film I ragazzi stanno bene, in cui le due amanti protagoniste vedono un film porno in cui due giovani uomini sono intenti in rapporti sessuali, mi disse che spesso, al contrario di quello che pensavo, nelle coppie lesbiche si usano video porno a tema gay piuttosto che lesbico.

A volte, mi disse, è più facile e gradevole ‘staccare’ con la similarità erotica e trarre spunti stimolanti da una sessualità diversa, per trovare incentivi da sviluppare con la compagna.

Terza situazione. Un amico, frequentatore di locali e club privati dove coppie sposate e coppie clandestine (talvolta formate da uomini sposati e prostituite d’occasione) s’incontrano per avere rapporti sessuali,  mi ha aperto pagine infinite di racconti su un mondo parallelo a quello quotidiano di persone ‘insospettabili’ circa la sessualità e il consumo di pornografia, dai quali ho scoperto che mi sbagliavo pensando che le migliaia di uomini e donne che ne fanno parte fossero in età avanzata. Una buona percentuale, soprattutto di uomini, è giovane, anche sotto i trent’anni: preferisce il rapporto occasionale con donne molto più anziane, e parimenti consuma materiale pornografico con soggetti femminili in età avanzata.

Quando ho scoperto, (purtroppo), l’esistenza di un sito che si chiama gnoccatravel (è stata di recente aperta la raccolta di firme per farlo chiudere, dato il tono violento e a tratti inquietante delle comunicazioni che veicola) ho rimpianto la fastidiosa espressione ‘nave scuola’, con la quale si indicavano le donne mature ricercate dai giovani maschi per imparare l’arte amatoria: famosa, cinematograficamente parlando, Gradisca di Fellini.

Quel termine, che per lo meno evocava la fantasia simbolica del viaggio (nave) e dell’apprendimento (scuola), è stata sostituita. nel linguaggio dei frequentatori di prostitute, così come nel mondo del consumo di porno da un brutale acronimo: milf.  Significa mother I love fuck, (mother, non woman) ed è il soggetto più richiesto, come si evince dalle migliaia di comunicazioni che popolano il sito, nel quale gli uomini scrivono, dopo avere consumato, per far sapere dove, in tutto il mondo, con una capillarità e precisione impressionante, si possono trovare locali, pubblici o privati, e strade dove incontrare (e/o ‘acquistare’), donne di questo ‘tipo’. Recensioni del turismo sessuale: magistrale, per saperne di più, il reportage fatto al sito il ricciocorno schiattoso, che racconta, a specchio, il mondo di Gnoccatravel.

Quello che mi ha turbato, nell’acronimo, è la vicinanza delle parole madre e fottere. Del resto non ci si dovrebbe stupire: in nessun sito porno manca il ricco capitolo dedicato agli amatori del sesso con donne incinte; chissà se gli amatori del genere conoscono la celebre battuta di Woody Allen secondo la quale gli uomini escono dalle donne, (alla nascita), e poi passano tutta la vita a cercare di rientrarci.

La rete e la modernità

Internet ha reso la pornografia un argomento non solo legittimo culturalmente, alla pari della teologia o della puericultura, (il mezzo è per sua natura orizzontale, e quindi ogni tema ha la possibilità di diventare potentissimo, basta una forte capacità di indicizzazione) e in meno di due decenni l’ha eletta a parola, e tema, dominante.

Il vocabolo più digitalizzato sulle stringhe di ricerca in rete è sex, termine con il quale, immediatamente, si accede a miliardi di siti pornografici, con video e foto di ogni tipo, bambine e bambini compresi. L’allarme globale sulla recrudescenza del fenomeno della pedopornografia arriva anche attraverso la letteratura di evasione: i libri di maggior successo delle autrici contemporanee di thriller, provenienti da paesi e cultura diverse, (è una tendenza in aumento nel genere), hanno nel plot storie nelle quali non manca mai un riferimento al mercato, in crescita esponenziale, della pedopornografia e del commercio sessuale di minori, nel quale spiccano i maschi italiani (brava gente!) come utenti assidui e affezionati all’estero, durante le vacanze esotiche in Asia, Africa o America Latina. Ormai accertata è la connessione tra mercato pornografico, mondo della droga e, ai livelli più delinquenziali, mondo della schiavitù sessuale e traffico d’armi. La grande disponibilità di pubblico, e la sua economicità, rendono Internet un mezzo molto usato per la distribuzione e la fruizione di materiali a contenuto pornografico. Di fatto, con l’avvento di internet, soprattutto per la diffusione di sistemi di file e video sharing la pornografia è divenuta immediatamente, e anonimamente, disponibile ovunque e per chiunque. L’ultima conseguenza di questo fenomeno ha, innanzitutto, mitigato il generico sentimento di condanna di fronte a questa forma espressiva, (senza però sviluppare un discorso sul ‘senso’ e sulle implicazioni di un suo uso frequente e sostitutivo delle relazioni gratuite e comprendenti anche sentimenti ed emozioni, oltre a quelle sessuali) dall’altro ha agevolato l’esplosione di fenomeni quali il genere ‘amatoriale’, consistente nella realizzazione di foto e video di carattere porno-erotico ritraente persone comuni (spesso gli stessi soggetti autori del prodotto): chi è più abile riesce a far rimbalzare il proprio ip attraverso server che non sono raggiungibili dai tecnici delle forze dell’ordine perché ubicati in paesi dell’Est Europa, dell’Asia e del sud America dove non c’è collaborazione con le forze dell’ordine locali, incrementando quindi il mercato illegale, privo di controllo e quindi potenzialmente violento. Oltre al file sharing un altro canale di distribuzione della pornografia via internet è rappresentato dai siti a pagamento, attività sempre più lucrosa per i produttori di materiale professionale che stanno privilegiando il web abbandonando i canali di distribuzione classici quali edicole, videoteche e sexy shop. Grazie alla rete oggi si sta sempre più affermando il cosiddetto neoporn, ovvero il movimento di pensiero che intende la pornografia come liberatoria e principale frontiera antimoralista, accanto ai flashgames per adulti, ovvero giochi elettronici le cui situazioni (pur variando dalla commedia al fantasy) mantengono un carattere dichiaratamente pornografico. Alcuni, di carattere violento e sessista, hanno trovato ampio mercato anche in Italia, come nel caso di Squillo, gioco da tavolo in cui, giocando  nel ruolo di veri papponi, è possibile usare prostitute ed escort a piacimento, spingendo le squillo in dotazione – Lola e Hannah, Manny e Analia, Shannon e Patty – a pratiche estreme di ogni tipo. “Un’alternativa per intrattenere amici e parenti, una sfida a colpi di fellatio in cui dimostrare le vostre abilità manageriali”, spiega l’ideatore del gioco e ‘adult music star’ Immanuel Casto, nel video che apre il sito squillogame.com. Nonostante alcune interpellanze parlamentari affinchè il gioco fosse ritirato dal commercio e cessassero i numerosi spot online il gioco è ancora in circolazione, anche se solo nella versione Squillo Deluxe e Squillo Bordello d’Oriente (diecimila e cinquemila copie vendute): la prima edizione, Squillo Pappa, uscita nel 2013, è esaurita da un pezzo. Squillo Game, edito da Raven, è diventato una specie di cult, andando fortissimo anche ai Lucca Games, dove di solito sono di scena solo fumetti. Il target? “Soprattutto giovani universitari, anche tantissime donne”,  raccontano dalla fumetteria Gamecraft di Chieti, dove il gioco, unico per adulti, è incartato in una velina rosa che ne copre il contenuto. Come riportò un articolo sulla pagina web di Donne di fatto del Fatto quotidiano (molto criticato dai commenti nel sito perché ritenuto ‘moralista’) “a leggere il regolamento, oltre che a vedere gli spot – con l’Immanuel Casto, serissimo, che tenta invano di fare ironia sullo sfondo di un sito dall’estetica a metà tra un triste porno e un’ambientazione di tarocchi di quart’ordine – anche chi ha un animo lassista e scanzonato viene preso da certa tristezza. Certo, ci sono alcune cose divertenti, la carta Senso di colpa cattolico, che limita le azioni della squillo, così come quella del Testimone di Geova, che colpisce il pappone, rendendogli impossibile la gestione delle proprie prostitute. Ilare anche quella Carriera nel Porno, (‘sfrutta le conoscenze e spompina i potenti’). Per il resto, però, il registro non solo è ultravolgare, (vedi carta Scorpacciata di cazzi, che ‘risolleva l’animo delle proprie ragazze’), che potrebbe anche starci, in fondo è un gioco per adulti. Ma a prevalere è soprattutto la violenza. Le ragazze sono le ‘troie’, che possono essere uccise e i cui organi possono essere venduti per fare cassa. C’è la carta Taglia Gole, che ‘consente di levare di torno una troia nemica’, quella Inculata da un rottweiler, che “rende malata la troia che colpisce”, c’è l’opzione Kamikaze, per ‘trasformare la ragazza in una bomba umana’, Il pestaggio e La gravidanza indesiderata. Ci sono persino l’Olocausto, il Patto col Diavolo e la Possessione demoniaca, le punizioni per i papponi troppo caritatevoli o troppo stupidi, e, infine, pratiche estreme, il Pissing e il Fisting ma anche, ben visibile appena si apre il sito, il Gerbilling, con tanto di roditore tra le gambe di una ragazza”. Accanto ai gioco porno c’è la divulgazione di spettacoli a pagamento e non, attraverso la trasmissione in webcam, una pratica molto diffusa in tutto il web. C’è la possibilità di assistere a spettacoli porno e comunicare via chat con chi si sta esibendo in quel momento. Il tutto a disposizione, con un click, anche ai minori, che di fatto sono esposti alla visione di immagini e video  anche a carattere violento (sulle donne e sui bambini e bambine) senza alcun filtro. La domanda è: cosa accadrà (cosa di fatto sta già accadendo?) nella vita sessuale, nelle relazioni concrete dei corpi e nell’immaginario erotico di chi, prima ancora che nell’esperienza graduale di ogni persona, che ha tempi e situazioni diverse per ciascuna/o di noi, è stato esposto in solitudine alla pornografia, e quindi ha potenzialmente avuto questa come palestra prioritaria per allenare corpo e fantasia alla sessualità e alla relazione sessuale?

Etimologia e disturbo

Sempre affidandosi alla rete ecco cosa scrive la celebre Wikipedia se la si interroga sulla pornografia: “La pornografia (dal greco πόρνη, porne, prostituta e γραφή, graphè, disegno e scritto, documento e, quindi, letteralmente ‘scrivere riguardo’ o ‘disegnare prostitute) è la raffigurazione esplicita di soggetti erotici e sessuali, in genere ritenuti osceni, effettuata in diverse forme: letteraria, pittorica, cinematografica, fotografica. Il termine pornografia tuttavia è di recente conio. È attribuibile, nella forma a noi nota, a Restif de La Bretonne che introdusse il termine nella pubblicistica moderna con il suo romanzo Le pornographe (1769). Il termine ha iniziato ad essere impiegato con questo significato agli inizi del XIX secolo, per poi diffondersi nei decenni successivi allo scopo di distinguerla dal concetto di arte. Generalmente negli ordinamenti giuridici occidentali non è considerata illegale, ma in determinati contesti è (o è stata) soggetta a censura, e ne viene vietata la visione (in particolare a minorenni). Da sempre si è dibattuto sul mutevole confine tra arte, erotismo e pornografia. La pornografia intesa come raffigurazione di situazioni erotiche o scene di sesso ha origini molto antiche: forme di rappresentazione esplicita di atti sessuali sono testimoniate presso la maggior parte delle civiltà della storia, ed è questione controversa se l’importanza relativa della pornografia sia correlata con il ‘grado di civiltà’ di un popolo. Certamente la pornografia intesa nel senso corrente è un fenomeno moderno, nato come detto precedentemente agli inizi del XIX secolo; nell’esaminare la storia di questo fenomeno, quindi, occorre estendere l’accezione di pornografia ed intendere qualsiasi genere di rappresentazione esplicita di atti sessuali, nudità e così via; tenendo però presente che, al di fuori di alcuni casi, non sempre è ipotizzabile che tale rappresentazione avesse lo scopo di provocare eccitazione nell’osservatore. Le donne nude e le attività sessuali sono descritte in maniera minuziosa nell’arte paleolitica (vedi ad esempio la Venere di Willendorf) tuttavia non è sicuro che lo scopo di tali opere fosse il risveglio sessuale, dato che tali immagini possono avere preferibilmente un’importanza spirituale. Relativamente all’epoca romana, a Pompei sono tuttora in perfetto stato di conservazione i lupanari, case chiuse sulle cui pareti sono ancora presenti rappresentazioni pornografiche. Inoltre sono state recentemente notate raffigurazioni degli organi sessuali maschili e femminili eseguita in alcune strade: per gli organi femminili era segno che la strada in cui ci si trovava era frequentata da prostitute; per l’organo sessuale maschile invece il discorso è diverso: ve ne erano moltissimi scolpiti o disegnati per le vie di Roma. Infatti l’organo maschile eretto era un simbolo portafortuna, da cui è derivato il nostro cornino di corallo. Una particolare sezione del Museo archeologico nazionale di Napoli (vietata ai minori di 14 anni e ai minori di 18 non accompagnati) contiene tutto quello che di pornografico è stato trovato negli scavi archeologici di Pompei: statue, affreschi, suppellettili (e persino giocattoli erotici), che ci fanno supporre che all’epoca questo tipo di raffigurazioni fossero comunemente diffuse. Nell’aprile del 2005 alcuni archeologi della Germania hanno notato un grosso disegno, di circa 7.000 anni fa, raffigurante un uomo che si piega sopra una donna. Tale figura è stata chiamata Adonis von Zschernitz. Nella seconda metà del XX secolo la pornografia si è evoluta negli USA grazie ad alcune riviste specializzate per soli uomini, quali ad esempio Playboy e Uomo Moderno (entrambe fondate nel 1950). Questi periodici hanno ritratto donne famose completamente nude. Dal 1960 in poi queste riviste hanno cercato una forma di raffigurazione sessuale più esplicita. Tale ricerca è terminata negli anni novanta, quando erano ormai inseriti articoli ed immagini riguardanti l’amore lesbico, l’omosessualità, la penetrazione, il sesso di gruppo, il feticismo sessuale. L’opportunità di censurare o meno le raffigurazioni pornografiche è da sempre all’origine di dibattiti etici e sociali. I favorevoli alla censura credono che un’azione legislativa più severa renderebbe la pornografia un fenomeno meno diffuso. I contrari alla censura sostengono che l’autodeterminazione dell’individuo non dovrebbe essere limitata per legge (fatti salvi i casi più aberranti). Inoltre, spesso, ciò che un tempo era considerato pornografico o scandalistico con le mutazioni dei costumi della società non è più considerato tale. Per esempio tratti del Decamerone di Giovanni Boccaccio, che fu addirittura inserito nell’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica, e del romanzo di David Herbert Lawrence L’amante di Lady Chatterley, che fu considerato nell’anno in cui fu pubblicato (il 1928) osceno e offensivo al comune senso del pudore. Una questione rilevante nel dibattito sulla censura riguarda il ruolo della pornografia nella trasmissione e nella riproduzione di forme di oppressione e violenza nei confronti della donna o di altre figure, e, in ogni caso, di un uso puramente mercantile del corpo umano. Uno degli aspetti maggiormente rimproverati alla pornografia è l’eccessivo utilizzo del sadismo. In Giappone ad esempio, la legge non pone limiti al tipo di argomenti o di storie, ma proibisce di mostrare gli organi genitali al pubblico: per questo motivo nei film pornografici e nelle riviste, compresi anime e manga, i genitali sono censurati con vari artifici grafici. La cinematografia ha sempre avuto interesse per la pornografia ma ha trovato ostacoli nelle legislazioni delle varie nazioni. Attualmente il genere del cinema porno è un notevole affare commerciale nelle nazioni dove è consentito. Esistono forme artistiche con contenuti erotici da alcuni assimilate alla pornografia, in letteratura (valgano per tutti gli esempi di La chiave, dello scrittore giapponese Junichiro Tanizaki, tutta la bibliografia del Marchese de Sade e la letteratura popolare inglese che ha preceduto il romanzo Moll Flanders di Daniel Defoe), nei fumetti (il genere hentai giapponese), nell’arte (La fornarina di Raffaello), nella poesia (Catullo, Marziale, Tibullo, Properzio, Ovidio, Gabriele D’Annunzio e il “divino” Aretino) e nella musica (ad esempio il brano allora giudicato scandaloso Je t’aime… moi non plus di Serge Gainsbourg e Jane Birkin). Nella pittura e nella fotografia numerosissimi sono i casi di nudità al confine con la pornografia. Nei movimenti femministi s’individuano due posizioni contrapposte riguardo alla pornografia. Le femministe ad essa favorevoli, come la sociologa della Northwestern University di Chicago Laura Kipnis, considerano la pornografia un aspetto positivo e cruciale della rivoluzione sessuale che ha portato alla liberazione della donna, contrariamente alla morale dei conservatori, che la vedono invece come oppressiva per le donne. Invece secondo l’altra posizione, rappresentata soprattutto dalla giurista Catharine MacKinnon della University of Michigan Law School, la prospettiva ‘liberazionista’ della pornografia è puramente illusoria: anzi essa, ponendo l’esposizione della sessualità della donna al centro del suo fuoco, la danneggia sotto vari aspetti: innanzitutto, sostenendo una ecologia culturale sessista che si compiace di ridurla a oggetto e merce sessuale, e di trasmetterne un’immagine degradata. In secondo luogo, essa si rende spesso causa o concausa di danni a persone specifiche sia in fase di produzione (donne forzate a posare, o riprese senza loro reale consenso alla produzione o circolazione del materiale pornografico), sia dopo, attraverso le modalità della diffamazione o della molestia, o ancora fornendo una spinta verso l’aggressione sessuale in persone predisposte. Per queste ragioni certi gruppi di femministe si sono spinti a boicottare alcune manifestazioni pornografiche, sia cinematografiche che letterarie. La contestazione più curiosa è avvenuta a Napoli nel 2000: un gruppo di femministe battagliere ha scaraventato dei pomodori contro Tinto Brass, regista noto per il genere definito softcore”.

Il dibattito nel movimento delle donne

Fin qui la rete, tra enciclopedia e social media. Vediamo qualche spunto di dibattito sull’argomento.

Cosa mi disturba di più nell’attuale, inflazionatissimo, discorso pubblico sulla pornografia?

Abbiamo per sommi capi visto come negli Stati Uniti, e di rimbalzo in Europa, si è sviluppata la polarizzazione tra favorevoli e contrarie nel movimento femminista e nel mondo intellettuale progressista.

Dal mio punto di vista ciò che trovo principalmente fuorviante è che sia avvenuto uno spostamento dal versante rimottivo  ‘pornografia è ciò che fanno gli altri’ a quello (per me altrettanto evasivo) genericamente antimoralista: la pornografia è, in alcune sfiloni di pensiero femminista e genericamente in certa sinistra, sempre sinonimo di liberazione. Il porno, celebrato in ogni sua accezione, non manca mai nell’orizzonte della modernità per chi considera pericoloso criticarne l’uso e discutere sulla sua ipotetica responsabilità rispetto alla violenza maschile, ed è ingrediente fondamentale anche nel discorso dell’emancipazione e della liberazione femminile.

Fioccano gruppi di studio, esperienze cinematografiche, romanzi di planetario successo nei quali la pornografia è predominante, salutata come strumento indispensabile per raggiungere consapevolezza e libertà.

Ma libertà per cosa, e perché? Questa è la domanda che mi pongo di fronte alla pornografia, e che faccio a chi ne propugna l’utilità, o addirittura l’indispensabilità (per le donne) come mezzo di liberazione.

L’età e la conoscenza mi offrono la possibilità di accedere all’origine del dibattito, nel femminismo, sulla pornografia: la raccolta di riviste edite tra gli anni ‘70 e ‘90, come Effe, Noi donne, Lapis, Dwf, Grattacielo, Reti (che ad Altradimora www.altradimora.it abbiamo disponibili grazie al lascito della biblioteca di Emi Uccelli) raccontano di una riflessione e uno sguardo su corpo, emozioni, sessualità e pornografia molto sfaccettata.

Quando ancora, agli albori del femminismo, c’era tutto da guardare per la prima volta, da vedere in profondità e in soggettiva, quando tutto, sessualità compresa, era ancora da dire, trovando le parole per raccontare il mondo, (e per metterlo al mondo), raramente la pornografia risultava argomento interessante tanto da legarla dall’orizzonte  della libertà.

Se se ne parlava (e non era un argomento molto trattato) era spesso per connettere l’uso della pornografia con la violenza: l’analisi era legata al problematico mondo dello sfruttamento del corpo femminile nei media, nella comunicazione, nell’immaginario e nel linguaggio, che appiattivano e banalizzavano (già allora) il femminile, la sessualità e le relazioni costringendole nella commercializzazione e nella riduzione di una parte per il tutto. Come abbimo a dire nello storico incontro del giugno 2001 Punto G a Genova la globalizzazione, con il primato già all’epoca minaccioso del mercato su tutto, era paragonabile, nell’analisi femminista, alla pornografia: si disse infatti che, così come nel porno il corpo e le emozioni scompaiono perché tutto è focalizzato sulla genitalità così la globalizzazione cancella il mosaico di differenze e ricchezze umane scegliendo solo l’aspetto del ‘consumo’ per categorizzare gli esseri umani.

Ecco, forse, uno dei nodi del discorso: che oggi la pornografia è centrale perché (in apparenza) del corpo, del piacere, del dolore, della morte, della sessualità è stato detto, fatto, rappresentato, sezionato, ripetuto tutto, al punto da non avere più nulla di nuovo da dire, esperire, raccontare, immaginare. A questo punto resta solo la pornografia, usata (anche) da chi contesta ciò che resta del giudizio (religioso o laico) della sessualità altrui come vessillo per la libertà d’espressione, dimenticando però che, mentre la sessualità è gratuita, la pornografia è regolata dal mercato, e difficilmente sfugge alle regole del controllo compulsivo, della ripetitività e della reiterazione. E’ in questo rischio che il mercato vince, e quindi da presunti protagonisti si rischia di diventare pedine di un triste e banale gioco commerciale. Nel suo La fine del desiderio la filosofa Michela Marzano scrive, riguardo alla pornografia: ”L’immaginazione è ‘forclusa’, non solo nella pornografia contemporanea, attraverso la sovraesposizione dell’atto sessuale, ma anche in quella classica, basata su un’estetica iperrealista che, ripetitiva, monotona, codificata, esibisce la propria inautenticità poiché mira a ridurre lo spettatore alla propria eccitazione, imprigionando la fisicità del corpo e delle pulsioni: la pornografia fissa un corpo smembrato; il volto, dunque l’altro, manca, ridotto a bocca orifizio, e assenti sono le storie”.

Certo, non mancano le eccezioni, che però rimandano ad una capacità di non focalizzare arte e pensiero solo nella produzione pornografica: per esempio la scrittrice Almudena Grandes fece scandalo (anche dentro il femminismo) quando, usciti i suoi primi romanzi, disse che in lei convivevano l’amore puro e materno verso i figli  così come la forte carica erotica che la spingeva a scrivere di sesso, e a praticare il mondo della pornografia, senza che questo inficiasse il suo essere anche mamma. “Se qualcuno trova pornografico il mio scrivere pazienza”, affermava, criticando la tendenza mai sopita in parte della cultura cattolica oltranzista spagnola a provare a riconfinare le donne nella gabbia della famiglia e della verginità. Assai diverso, trovo, il fenomeno ‘sfumature di grigio’ e simili, che hanno trovato un pubblico di lettrici straordinariamente vasto, che ora si sposterà negli adattamenti cinematografici tratti dai libri e, prossimamente, anche in tv con la valanga di serie che è presumibile aspettarsi. Nei testi protagonisti del fenomeno di massa del ‘porno per tutti’(ma specialmente per le donne del ceto medio basso) c’è l’intento di soddisfare la curiosità per la sessualità, legittimando la pornografia, rendendola praticabile e agibile dentro il focolare domestico: in una sorta di interclassismo della camera da letto che ‘finalmente’ rende uguali ricchi e poveri, colti e ignoranti, giovani e vecchi: la pornografia come nuova frontiera della democrazia, un futuribile comunismo dell’alcova, che livella, (al pari della morte), ogni differenza. Sesso, morte e denaro erano tabù indistruttibili, prima dell’avvento della rete: sembra che ora regga abbastanza bene solo l’ultimo della lista.

E’ curioso, dal mio punto di vista, che le femministe che propugnano la pornografia come massima manifestazione di libertà, (bollando quindi le critiche e i dubbi come ‘moralismo’), siano oggi nella stessa schiera di chi, consumando i libri e le produzioni di porno soft ispirate al filone delle sfumature, non ha alcun intento rivoluzionario o femminista, ma al contrario è custode dei ruoli sessuali in famiglia e nella società, come, per esempio, è di recente avvenuto in Italia nel deprimente dibattito su ‘cene eleganti’, escort e virilità dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi.

Alcune femministe italiane hanno sostenuto che la libertà femminile si esprime e si legittima anche nella scelta di vendersi, di farsi comprare, così come di comprare, consumare o essere soggetto/oggetto di pornografia. In questa certezza si lascia, però, di sfondo, un dato non secondario: non si considera come queste scelte, propugnate come libere, sono rigorosamente dentro l’orizzonte del mercato, che non è per nulla libero, ma al contrario diventa l’unico elemento regolatore delle relazioni così come delle vite individuali e delle dinamiche collettive, causando la messa in secondo piano dei sentimenti e delle emozioni, centrando l’attenzione e la signoria sul denaro e il potere.  Rendendoci, tutti e tutte, al servizio acritico di un pensiero unico, e non più libere e liberi.

Il porno come liberatorio?

Nel numero di settembre di Lapis del 1996 Marisa Fiumanò scrive: ”Senza sottoscrivere la tesi del masochismo femminile per comprendere perché le donne si comportano ‘come se’ fossero masochiste bisogna scandagliare il rapporto delle donne con il desiderio e l’angoscia che attribuiscono all’Altro (cioè alla persona che per loro riveste questo ruolo, il partner o chi altro). Nel masochismo le donne non cercano lo stesso piacere degli uomini, cercano piuttosto di fare esplodere qualcosa nell’altro in modo che si renda visibile, con l’angoscia, il suo desiderio. Più che essere masochiste le donne corrono il rischio di cadere nel masochismo perché sono troppo interessate (e dipendenti dal) desiderio dell’Altro”. Mi ha colpito questo ragionamento, che viene da molto lontano nel tempo, quando ancora internet era agli albori, perché la molta parte delle produzione pornografica mette in scena corpi di donne in maggioranza in posizione sottomessa, quasi costantemente solo ricevente e passiva, e non solo, ovviamente, nella pornografia violenta: come se l’essere del corpo femminile cavo e mancante di penetratività sessuale primaria le rendesse ‘naturalmente’, e quindi pornograficamente, il corpo da sfruttare, penetrare, sfondare (è il verbo più usato nel discorso sessuale dei siti dedicati al sesso), riempire.

Le critiche femministe alla pornografia tradizionale si sono spesso incentrate sull’assenza di emozione e di relazione nei film, nei video e in generale nella pubblicistica porno, così come sullo scarsissimo protagonismo del corpo in tutta la sua estensione e sull’ossessione per la penetrazione, sul carattere passivo e violento della rappresentazione del rapporto sessuale, sull’esaltazione delle dimensioni del fallo. Un eccesso moralista, un timore ancestrale delle potenzialità che la pornografia potrebbe aprire nell’orizzonte dell’autodeterminazione? Sempre nel 1996 su Lapis di giugno Dolores Ritti annota: ”La vergogna è un sentimento elementare per le donne, una fatalità e una punizione insieme: accompagna sia la percezione del corpo, sia la sua immagine tanto più il corpo quando diventa oggetto dello sguardo altrui. Il corpo al quale ci si è avvicinate attraverso il duro lavoro dell’autocoscienza, fonte del malessere, oggetto di seduzione e di conquista è bandito da ogni progetto di riflessione. Limitato, offeso, equivoco, non è più degno di essere pensato.”

Forse è per sconfiggere il senso di vergogna che ancora viene insegnato alle bambine che si propone la pornografia come elemento di liberazione? Possibile, anche se è necessario avere ben chiari i limiti dello strumento e l’ambito dentro al quale la pornografia, nel mondo, è pensata, prodotta, commercializzata.

E’, in parte, questa la missione del sito nordamericano http://femporn.blogspot.it/: qui la ricerca è orientata dalla visione femminista critica contro la produzione massiccia di porno violento ma allo stesso tempo favorevole e incentivante la produzione e conoscenza di una pornografia ‘con occhi di donna’, nella quale si offre al consumo femminile una cinematografia che si sforza di spostare l’ottica dall’impero del desiderio maschile a quello femminile, dando la possibilità di mettere in scena il desiderio dal punto di vista femminile (etero o lesbico).

Sia nell’iconografia così come nel linguaggio le differenze sono innegabili, tra queste produzioni e quelle mainstream. Anche il passaggio del tempo, l’uso della telecamera così come il contesto cambiano in modo notevole se si raffronta il porno ‘vintage’ con quello attuale.

Ho provato a fare una comparazione dei prodotti video pornografici degli anni ’70 con quelli di oggi, e relativamente a ciò che appare in rete nei primi posti digitalizzando la parola ‘porno’ c’è da restare di stucco. Nella cultura underground statunitense degli anni ’70, accanto alla fascinazione per il viaggio interiore amplificato dall’uso delle droghe psichedeliche c’è stato, ovviamente, anche un filone di produzione/sperimentazione pornografica, che a livello cinematografico ha trovato il suo culmine nella ricerca di una femminista lesbica che girò, assieme alla sua fidanzata, un celeberrimo film porno con l’attore John Holmes, decano del genere. Nonostante nel film si arrivi alla penetrazione della fidanzata da parte della donna con la sua gamba di legno il video  risulta quasi un film romantico, se paragonato alla maggioranza dei porno di oggi. Per non parlare dei succitati ‘amatoriali’, nei quali figurano video girati con il cellulare con scene in cui sono protagonisti minorenni o poco più grandi in gita scolastica che hanno il carattere dell’orgia ‘panica’: una giovane coppia si esibisce mentre il resto della scolaresca assiste, in parte preda di alcool o droga e in parte ancora lucida, e incita, come allo stadio. L’intimità non è nemmeno considerata, in questo orizzonte della sessualità, e fa impressione che l’età sia così bassa. Si accennava prima alla presenza di giovani nei locali a pagamento, dove si devono sborsare dagli 80 ai 500 euro per entrare, a seconda dei livello del luogo, per partecipare a sessioni di sesso di gruppo con anche 200, 300 persone coinvolte nello stesso stabile. In questo quadro di numeri e cifre è davvero sufficiente cambiare mano alla telecamera, e sostituire l’occhio di una donna a quello di un uomo, o cambiare pratica erotica principale, o essere produttrice nel mercato del porno, per modificare l’assetto del potere simbolico sulla sessualità che l’industria del porno alimenta e sul quale si fonda? Forse nella scrittura, e con il cambiamento semantico e simbolico della narrazione del racconto scritto e quindi letto, la pornografia riesce a diventare un pezzo dell’evolvere in senso liberatorio della sessualità: come, e se, lo possano il video e la produzione di immagini, specialmente on line, resta un dubbio più che legittimo.

Quanto alla scorciatoia del dare la parola ai ‘protagonisti’ per sdoganare il porno anche attraverso il racconto in diretta provare per credere: ad un numero di Micromega che intervista Rocco Siffredi, (rivista letta da una minoranza colta e già interna alla pratica del dibattito), fanno da corte le serie tv sull’impresa e la vita quotidiana, (assai monotona e povera), che negli States impiega madre, padre e figlio nell’azienda di famiglia basata sulla produzione di porno. Visibile sul digitale terreste la serie racconta le giornate di mamma (impiegata a fare la contabilità) e del padre e del figlio che aspettano le erezioni degli attori per immortalarli in varie prodezze erotiche, seriali e assai noiose, girate nelle anonime ville tutte uguali della costa; nelle pause le attrici sorridono, si disinfettano, telefonano a casa per dire che stanno tornando e di buttare la pasta, e al massimo riescono a dire frasi non più lunghe di cinque parole.

Il diritto a scegliere

In Italia una pornostar è stata parlamentare, e sebbene non brillasse per eloquio colto Ilona Staller, in arte Cicciolina, è da rimpiangere quanto a livello culturale e a simpatia  se comparata alle giovani pornodive dell’era digitale. La domanda è se le femministe abbiano lottato anche perché una donna si potesse mostrare nuda, nei luoghi pubblici, reali o virtuali, senza essere insultata, dileggiata, punita, o persino uccisa per questo. Comincio a rispondere per me, e dico sì: ho lottato (e lotto) contro i pregiudizi sessisti e la miseria violenta del patriarcato, (che assume volti e versioni sempre attuali), anche perché le giovani donne potessero scegliere chi essere, come vestire, cosa fare nel mondo, senza che nessun uomo le obbligasse in alcunché, nel nome della famiglia, di un dio, o della patria . Il femminismo non è stato, e non è, un movimento che ha creato teoria, elaborazioni  e pratiche effimere e strumentali: si è trattato, e si tratta, di uno sguardo e di una visione critica della realtà, spesso ingiusta e violenta, che ancora affligge donne e uomini a livello globale. Nel mondo le bambine e le donne sono insultate, dileggiate, punite, e uccise solo per il fatto di essere femmine.  Cito, per chiarezza, la nordamericana Robin Morgan, che forse riassume nel modo più puntuale di cosa sto parlando: “Non si tratta di una minoranza oppressa che si organizza su questioni valide ma pur sempre minori. Si tratta della metà del genere umano che afferma che ogni problema la riguarda, e chiede di prendere parola su tutto. Il femminismo è questo”. La libertà di essere non più metà della mela, (quella meno di valore), ma un soggetto intero si è conquistata coniugando in modo nuovo il concetto di uguaglianza e di diritto: non a caso la parola usata dalle attiviste nelle lotte per la conquista della possibilità di decidere sul proprio corpo (orientamento sessuale, gravidanza, maternità, matrimonio) è autodeterminazione. Un concetto che mette insieme libertà e responsabilità: ti autodetermini perché ragioni anche sulle conseguenze dei tuoi gesti, e lo fai perché la tua libertà si mette in relazione con il resto del mondo. Prender parola, dunque. Nella nostra società dell’immagine la parola la si prende anche, soprattutto, con il corpo. Viene alla mente la forza evocativa del gesto, silenzioso e però fragoroso in modo inequivocabile, di Amina Sboui, giovane blogger tunisina più volte arrestata e incarcerata per aver messo online una sua fotografia in piedi, completamente nuda. Lei, che rischia la morte solo per questo gesto, chiama il mondo a ragionare sull’irresponsabilità feroce di una visione del corpo femminile che diventa costume, consuetudine, legge, vincolo e condanna. Le donne, in questa visione, si possono vendere e comprare, ma non possono decidere per sé. Per questo l’attivista iraniana Maryam Namazie ideò nel 2013 il primo calendario, con enorme scalpore e visibilità, nel quale alcune attiviste antifondamentaliste vicine all’iraniana si ritrassero nude, protestando contro la sharia e la violenza islamista, in appoggio alle lotte di Amina e del gruppo Femen. Non è un gioco, non è la tv: è la vita vera, dove le donne e le bambine vengono picchiate, mutilate, uccise, ad ogni latitudine, nelle case ricche come nelle favelas. Ben lungi da Amina, così come altrettanto lontana dall’emozione che suscita il dipinto del 1866 di Gustave Courbet L’origine du monde, è l’effimera comparsata di un’attrice emergente del porno: prima, in un’intervista, definisce le femministe, (senza probabilmente conoscerne nemmeno una in carne ed ossa), come portatrici di ‘vagine legnose’, e sentenzia che devono ‘darla di più’; poi, in un video di circa un minuto, opina in modo confuso sulla violenza di genere, negandone l’importanza e ribadendo il concetto, (da partita doppia), del ‘darla’, una ricetta per tutte le stagioni, chissà perché. Il video la ritrae nuda solo per la metà inferiore: una gamba sul pavimento di un bagno come tanti, l’altra sul lavandino, l’ordinata e coltivata vagina in primo piano. E’ un’operazione commerciale pubblicitaria, una calcolatissima mossa di autopromozione, si è detto da più parti: del resto la ragazza, come molte della sua generazione che praticano il mondo della televisione e del cinema, ha studiato, è mediamente più colta di molti coetanei, sa bene l’arte del vendersi. La donna siede sulla sua banca, è il motto che le ispira. E’ in buona compagnia: non è la prima, né sarà l’ultima a diventare, per il pochissimo tempo che la logica del mercato offre alle presunte novità, testimonial risibile e seriale dei nostri tempi vuoti, depilati e opachi. Non è molto originale, come testimonial: l’eccezione, oggi, è rappresenta da chi ‘non la dà. Nelle intercettazioni telefoniche dopo il caso Ruby erano i padri a incitare le figlie a concedersi, durante le cene eleganti, quindi dove sta la novità, e dove lo scandalo? La mancanza di fantasia regna sovrana sui temi sessuali, così come il buon gusto, la cultura e l’empatia: pochi giorni fa un quarantenne opinionista genovese invitava le ragazzine a coprirsi il sedere (che a lui non dispiaceva comunque guardare, fosse mai si dubitasse della sua eterosessualità) altrimenti lo stupro è giustificato (allora c’è ancora chi invoca il pudore); poi è stata la volta della leghista che augurava la violenza sessuale per la ministra, e infine, buon ultimo, l’attivista di Sel, che come punizione per la suddetta leghista auspicava che questa fosse gettata in pasto a violentatori (di colore), riassumendo così l’attitudine congiunta sessista e razzista, (almeno nel linguaggio e nell’auspicio), di larga parte del paese, quella al potere così come quella del bar sport. Nel confuso eloquio della soubrette del porno manca la capacità di fare connessioni, perché è l’automatismo a imperare. Femminista uguale frigida e acida, pornodiva uguale gaudente e realizzata. Nel video l’attrice parla delle morti sul lavoro e di violenza sessuale, due piaghe sociali planetarie, che nell’eloquio sgambato diventano risibili, perdono senso, spariscono nella voragine dell’ignoranza della storia reale, citate così, solo come introduzione insensata all’invito a ‘darla’. Negli ultimi 25 anni, sin dai banchi di scuola, una parte ingente di giovani è cresciuta allevata in batteria al ritmo dei jingle della tv commerciale, avendo come esempi pupe e secchioni, amici e uomini e donne defilippiani che non azzeccano un congiuntivo, che rincorrono sogni di comparsate tv ben descritte nel film Ricordati di me, dove il compianto Taricone citava spietatamente se stesso. Rocco Siffredi, mentore della attrice filosofa, è amato e ammirato da donne e uomini, pur se in modo diverso; non altrettanto si può dire delle sue partner. Molta parte del mondo maschile si masturba nel privato apprezzando le grazie muliebri, ma nel pubblico sempre e solo puttana resti, e difficilmente acquisti la rispettabilità, vitale per sopravvivere nella nostra società, finiti i fasti effimeri del corpo giovane, sodo e commercializzabile. Il best seller I monologhi della vagina, della femminista (tutto fuorché legnosa) Eve Ensler è un inno contro la violenza sulle donne e sul mondo, lontanissimo dalle semplificazioni del ‘darla’: la bellezza della vita, che è relazione e scambio e fatica e emozione, non si può costringere in un solo verbo, in una semplificazione così routinaria. In fondo non sono le gambe aperte a fare scandalo: è il cervello chiuso, quello sì, che preoccupa.

 

Testi consigliati (IN COLORE DIVERSO- SE NON STA DENTRO LA PAGINA METTERE IN CONCHIGLIE,SEMPRE IN COLORE DIVERS0)

 

Ovidie Becht, Porno manifesto. Storia di una passione proibita, Baldini & Castoldi

Virginie Despentes, King Kong girl, Einaudi

Catharine MacKinnon, Soltanto parole, Giuffrè

Pamela Paul, Pornopotere, Orme

Annie Sprinkle, Postporn modernist, Venerea Edizioni

Michi Staderini, Pornografie, Manifestolibri

Nadine Strossen, Difesa della pornografia, Castelvecchi

Sallie Tisdale, Dimmi le parolacce, Tropea

Annalisa Verza, Il dominio pornografico, Liguori

Michela Marzano, La fine del desiderio, Mondadori

 

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